Logo TorinoArt       
                                                                                                                                                              Punto Beldent         ParaFARMACIA Aurora         Multisala Petrarca


| Home | Chi siamo | Artisti | Inserimento | Newsletter | Expo | Associazioni | Links | Contatti | Agreements | Eventi |


Attilio Lauricella

       

Uno sperimentatore inesausto, abituato a passare dalla pittura alla plastica

        Le visioni simultanee di Attilio Lauricella -  Ipotizziamo l’esistenza di un fotografo munito di stupefacenti aggeggi elettronici approntati per tradurre in immagine ogni possibile fenomeno e modalità dell’esistente. Egli comincia, pare ovvio, con il ritrarre qualche aspetto della realtà effettuale, senz’altra preoccupazione che di fissarne una testimonianza.   Diventa difficile escludere che si lasci guidare dalla personale sensibilità estetica e dall’intenzione di offrire un documento efficace, nello scegliere l’angolazione e l’inquadratura. Non può, tuttavia, sorretto dal prodigioso armamentario tecnico, rinunciare a rendere manifesti i suoi processi mentali e la sua partecipazione emotiva, oltre la misura in cui, di norma, l’opera fotografica prodotta con macchine tradizionali li rivela all’occhio dell’intenditore. Grazie al cielo, le sofisticate apparecchiature riescono a captare i pensieri, le emozioni e a tradurli in forme visibili. Potrebbe il nostro fotografo sciorinare, a questo punto, una sequenza di immagini che, fissata l’iniziale oggettività colta dall’obiettivo, rappresenti i processi d’interiorizzazione della realtà, i modi in cui la ridisegnano gli stati emotivi e lo sguardo perscrutante dell’artista. Lo spirito creativo si ribella, infatti, alle costrizioni mentali che l’apparenza, la scorza delle cose, tende ad imporre.

            È portato ad astrarre dagli aspetti contingenti, a compiere una sorta di radiografia del reale, volta alla ricerca di un ordine costitutivo, di schemi e strutture essenziali rintracciabili in svariati contesti, se non proprio, e in tal caso la scoperta introdurrebbe alla vera conoscenza, di una sostanza primigenia, da cui tutto possa germinare e a cui tutto sia riconducibile. Nulla impedirebbe al nostro fotografo di sovrapporre, anziché allinearli, gli esiti dei singoli scatti fotografici, rispettandone la successione esecutiva. Scoprirebbe che la forma visibile, se una forma continuasse nonostante tutto a persistere, lungi dal riprodurre le caratteristiche fisiche del soggetto fotografico iniziale, rappresenterebbe il distillato ultimo di una specifica esperienza emotiva e cognitiva. Avrebbe sotto gli occhi l’interpretazione sua propria, di una realtà particolare. Perché, allora, se l’occorrenza espressiva si corona nella proiezione di un evento che attiene alla interiorità, non limitarsi a raffigurare questo approdo ultimo, invece di sviare l’attenzione altrui con una serie d’immagini provvisorie, interlocutorie, in pratica forvianti? Il vero artista cede al bisogno di mostrare la sua visione, la sua consapevolezza.

            Attilio Lauricella (nato a Raddusa, CT, nell’agosto 1953; residente a Torino dal 1959) conosce l’àpeiron, il principio da cui tutto si origina. Lo ha individuato, come, del resto, i suoi fratelli in arte, nella luce che vivifica i pigmenti della tavolozza e, benché informe, li rende capaci di creare l’illusione d’ogni forma possibile. Invero, filosofo e poeta, assimilabile nello spirito all’immaginario fotografo sopra descritto, rifiuta di scimmiottare nell’opera pittorica le apparenze della realtà e si sforza - seppure in un recente passato accettasse che le stesse s’intravedessero o addirittura si accampassero, sotto la pressione di una sua ricorrente vena narrativa (anche i pensatori abbandonano il sopramondo delle idee pure, delle sublimi astrazioni per raccontarci le fisiche, concrete meraviglie) - di liberare dalla prigione della materia l’essenza delle cose, in modo che, restituita al grembo primordiale della luce, possa a chiunque rivelarsi, per virtù demiurgica e maieutica dell’arte. La sua macchina fotografica risiede, dunque, nella sua stessa mente dove le immagini assorbite da un occhio avido di conoscenza si compongono e raccolgono per essere sottoposte ad un attento studio, spogliate d’ogni sovrappiù, scarnificate, frugate nell’intimo, ridotte in definitiva ad una orditura di fibre policrome, sulle quali chi sa guardare può tessere un proprio intreccio di pensieri, di memorie, di emozioni.

            Dopo anni di esperienza - precisiamo -, l’artista Lauricella non ha bisogno di girare il mondo, ha l’universo dentro di sé, attinge ad una sapienza consolidata o si affida ad una intuizione che bene conosce le scorciatoie del sapere. Nel suo bagaglio culturale (arricchito di continuo, avanti e dopo gli studi compiuti al Liceo Artistico dell’Accademia Albertina) sono presenti i linguaggi pittorici che hanno illustrato la storia dell’arte, specie gli stilemi e le poetiche degli ultimi decenni. Egli rimane, tuttavia, refrattario all’imitazione e si comporta alla stregua di un cuoco molto abile nell’allestire menu di alta gastronomia e di assoluta originalità, apprese le tecniche di cottura e conosciuti, per disporre di adeguati paragoni, i sapori di raffinate cucine; o, meglio ancora, come uno chef impegnato nella impossibile impresa di sedurre le papille gustative con vivande prive di consistenza materiale. Ecco, allora, che le sue frequenti illuminazioni si proiettano all’esterno in flussi versicolori e, mediate dall’olio o dall’acrilico, si distendono in gioiose campiture, lasciano tracce curvilinee, poligonali (triangoli, losanghe ed altre figure, spesso appaiono congiunte in estrosi incastri), paraboliche, spiraliformi, dando vita a composizioni pittoriche il cui significato diventa irrilevante e il cui titolo, inteso a designare l’intenzione espressiva e il progetto concluso, risulta un qualcosa di estraneo, di giustapposto, diventa motivo di possibile disturbo al sereno godimento di chi nel ritmico e musicale assetto dell’opera immerge lo sguardo e nulla chiede in aggiunta al puro manifestarsi della bellezza. L’esercizio pluridecennale ha, inoltre, attrezzato l’artista di automatismi tanto sapienti da rendere superflua, in molti casi, la fase dell’ideazione, capaci, a dir poco, di supplire con efficacia, sotto specie di pura gestualità, all’indefinitezza del progetto.

            Insensibile al canto delle sirene modaiole, Lauricella procede lungo le rotte che gli indica la sua bussola personale, tarata su un polo magnetico reso alquanto instabile da una anticipatrice sensibilità per i mutamenti del gusto e per le rinnovate ragioni del fare arte, ma più ancora dalla sua creatività indomabile, irrequieta, che, negli ultimi anni, si manifesta in territori distanti e al tempo stesso contigui rispetto a quello che lo vide, in età ancora giovanile, fresco esule dal figurativo puro, rivelarsi un eccellente pittore “concettuale”. Lontani da illuminazioni episodiche, i suoi lavori risultavano ispirati da una discorsiva consequenzialità, da un rigore logico e razionale protratto, riscontrabile nella pertinace escavazione del filosofo che si proponga, se non di elaborare un sistema, d’indicarci qualche rotta speculativa. Memorabile la serie dei grandi dipinti concepiti per tradurre l’intima struttura dei computer in un accordato insieme di elementi figurativi. Nacquero opere di sorprendente armonia e di tale icasticità da indurre l’illusione che i dati, ovviamente invisibili, ma in qualche modo avvertiti, corressero verso la febbrile quanto infallibile officina della logica algoritmica. Lauricella, dunque, veniva allora da pensare, a riprova di quanto più sopra dicevamo, non si estrania dalla realtà fenomenica, ma la esplora nel profondo e la sublima, assertore della assoluta necessità che poesia ed estetica dialoghino con l’utile e il funzionale.

            Diventa difficile, s’è capito, offrire di questo sperimentatore inesausto, abituato, oltretutto, a mescolare i generi e a passare dalla pittura alla plastica, una documentazione iconografica che in qualche modo serva a rapportarlo per assimilazione agli artisti più celebrati dalla critica o, se preferiamo, ad etichettarne la produzione. Limitiamoci a riconoscere in lui un maestro che s’inoltra per vie spesso solitarie, ma necessarie per arricchire la mappa che tracciano gli storici dell’arte.

            Di una regione beneficata da molteplici aspetti fisici, non si mostrano soltanto le spiagge rinomate, trascurandone i colli, i monti, le pianure che ne costituiscono un ulteriore incanto e una non trascurabile ricchezza. Allo stesso modo, non ci si dovrebbe restringere a mettere a fuoco di una personalità complessa soltanto qualcuno dei suoi cento volti. Qui si commettono peccati di omissione. Lauricella è un concentrato di energia che deve liberarsi a grandi dosi giornaliere. Per questa ragione, può succederci di conoscerlo in veste di lirico, ad esempio, o trovarlo indaffarato ad organizzare mostre collettive in cui si ritaglia un angolino da comprimario (numerose e spesso prestigiose sale di esposizione, in palazzi, castelli, pinacoteche, rinomate gallerie, lo accolgono come unico protagonista, per iniziativa altrui; sue opere di ragguardevoli dimensioni, acquisite in via definitiva, si esibiscono sulle pareti di banche, alberghi, sedi di varie istituzioni), a fondare circoli artistici, a rivestire i ruoli, assegnatigli in omaggio alla sua competenza, di consigliere e collaboratore (“Piemonte Artistico Culturale”, “Associazione Arte Città Amica” ecc.), a riunire un esercito di creativi per una conferenza, seguita da un convito fra uguali e da salutari libagioni in onore delle muse. Si dovrebbe accennare ai premi che ha collezionato e ai giudizi di valore dal tono entusiastico ottenuti da giornalisti, scrittori e critici militanti.

            Lauricella, come molti sanno, ha ricevuto l’incarico da una emittente televisiva di Mediaset di raccontare con i suoi disegni i momenti più significativi del processo che vede Anna Maria Franzoni imputata per la morte del figlioletto Samuele. I giudici, infatti, hanno deciso di bandire, all’interno dell’aula, l’uso di qualsiasi mezzo di assunzione ottica artificiale. Roberto Cotroneo - a cui va riconosciuto il merito di averci offerto una convincente analisi di un degrado dello spettacolo processuale, scaduto dal rango di evento dialettico, reso appassionante dall’abilità oratoria dei principi del Foro, ad una sorta di reality show, di messinscena consona alle abitudini di un pubblico affetto da “voyeurismo catodico” -, si meraviglia alquanto nell’apprendere che una tale incombenza sia stata affidata a “ un disegnatore che riflette sulle misteriose curve intensive” e si definisce “astrattista geometrico”. I titoli che Lauricella assegna a molte delle sue opere sembrerebbero, infatti, designarle come il derivato pittorico di una fredda razionalità, assistita dalla conoscenza di un ampio orizzonte spazio-temporale delle arti figurative, ma sottratta alle interferenze dell’emotività. Sappiamo, ormai, quanto basta per non lasciarci depistare. Aggiungiamo che Lauricella vanta un lungo tirocinio di ritrattista, attento a cogliere ed evidenziare il profilo interiore di uomini e donne e, con esperta malizia, quando ci si appella alla sua vena caricaturale, a coinvolgere i minimi segni rivelatori della psiche nel giuoco della deformazione fisionomica. I protagonisti dell’interminabile vicenda non riusciranno a impedirgli di leggere nel loro animo (Dionisio Da Pra , n° 48 di "Contemporart"] 

 Torna a Attilio Lauricella

 



Per informazioni digita  info @ torinoart.it  senza spazi
(misura anti-spam)

          
Multisala Petrarca